Galeotta fu la recensione di Joy! Mi riferisco a quella in cui decantava i meravigliosi paesaggi montani, le bellissime cascate del Doccione… e, meno poeticamente, il pranzo a Casa Baroni.
Incuriosita dunque da questa recensione e col desidero di sfuggire, anche solo per poche ore, al caldo afoso della pianura che mi circonda, decido di seguire le orme di Joy fin a Fellicarolo.
Detto fatto, io e la mia dolce metà, oppressa ancor più di me dalla calura, partiamo alla volta delle montagne.
Man mano che ci avviciniamo all'Appennino, il paesaggio è sempre più verde e bello. Davanti ai nostri occhi, sfilano boschi verdissimi, calanchi spettacolari, rilievi più o meno brulli, letti di torrente rocciosi e semi-asciutti… Ed eccoci a Fanano. Una volta qui, però, c'è ancora un pezzo di strada, il più bello perché a tratti costeggia il monte, a tratti si insinua, tortuoso, nel cuore della foresta. Da Fanano a Fellicarolo infatti ci sono alcuni chilometri di strada, per fortuna asfaltata, che attraversa il bosco. All'ombra di altissimi alberi, ci godiamo così un po' di fresco (qui la temperatura è scesa di almeno una decina di gradi) e di pace, nel senso che non ci sono né esseri umani, né case di alcun tipo.
Lasciato questo “deserto verde”, arriviamo a Fellicarolo, un borghetto di poche case e una chiesa, questa a dire il vero molto grande e tutta in pietra. Una volta qui, bisogna prendere un'altra strada che costeggia sempre i monti e che, manco a dirlo, si allontana nuovamente dalle abitazioni. Rieccoci nel bosco e ci chiediamo se e quando raggiungeremo casa Baroni. Fortunatamente ci sono cartelli che ci indicano che siamo sulla strada buona (che del resto è l'unica!), probabilmente messi per confortare i viandanti come noi che si chiedono “dove siamo finiti?”.
Fatti pochi chilometri, arriviamo alla fine della strada e vediamo il ristorante, evviva! Esso non è altro che un piccolo complesso di case in pietra, circondate da verdissimi prati e con una splendida vista. Fuori dalla casa principale, che funge da ristorante, ci sono alcuni tavoli in legno e in plastica e tronchi di legno contenenti fiori multicolore.
Entriamo. E' aperto ma deserto, chiamo e dopo un po' sbuca da un'altra stanza un signore anziano, con boccoli e barba grigia che un po' mi ricorda il nonno di Heidi Vabbè, qui si tratta di Appennini e non di Alpi svizzere, ma un po' ci assomiglia: stesso barbone, stessa aria da finto-burbero, e il volto rugoso capace di illuminarsi con improvvisi sorrisi.
Chiedo se possiamo mangiare, lui ci avverte che fanno menù fisso, a 30 euro a testa, comprensivi di bevande e caffè. Accettiamo e, visto che è presto, ne approfittiamo per uscire e fare una breve passeggiata fino a un ruscello vicino.
Arrivate le 12.30, torniamo al ristorante. Fuori ora c'è un'anziana coppia che mangia, noi però preferiamo pranzare dentro, fa comunque caldo anche se c'è molta meno afa!
L'interno è pittoresco, mi piace molto. C'è un'unica grande sala arredata come dev'essere un ristorante di montagna, almeno secondo me: pavimento in cotto, soffitto di legno con grosse travi a vista, pareti intonacate di bianco e a tratti in pietra (come il camino, chiuso) sulle quali fanno bella mostra vari oggetti. C'è di tutto, soprattutto oggetti contadini, dai cesti di paglia, alla sega per il legname, dalla slitta antica ad altri attrezzi in legno e in ferro. Non mancano le vecchie fotografie, alcune in bianco e nero, e, carinissimi, i residuati bellici, ovvero elmetti tedeschi della seconda guerra mondiale, con i quali la gente di montagna dava da bere agli animali (almeno così dice il proprietario). Tutto molto bello e disposto bene. I tavoli (saranno una cinquantina di coperti o poco più) sono abbastanza distanti tra loro, in legno come le sedie, coperti da una sottotovaglia di stoffa rossa e da una tovaglietta di carta come i tovaglioli. Sopra ogni tavolo, una minuscola composizione di cardi e stelle alpine, doppie posate, tre bicchieri (acqua, vino e vino per il dessert). Nell'insieme, come dicevo, l'ambiente è bello nella sua rustica semplicità. Ho “visitato” anche i bagni, semplici ma puliti.
Il proprietario, che ci servirà per tutto il pranzo (di camerieri non c'è traccia, del resto siamo solo noi, a parte la coppia che pranza fuori), ci fa accomodare in un tavolo vicino alla finestra: una grande finestra ad arco da cui si ammira il bellissimo panorama e il monte Cimone. A questo proposito, il nostro vecchio della montagna ci darà un binocolo per ammirare meglio il monte e l'osservatorio in cima. Molto bello, e molto gentile il signore che per tutto il pranzo ci intratterrà ogni tanto, con discrezione, con alcune battute spiritose e con racconti e aneddoti. Insomma, mi ha conquistata
Ma veniamo al pranzo, cucinato dalla moglie del vecchio, che vedremo solo una volta e di sfuggita. Come anticipato, il pranzo è a menù fisso, ovvero non si può scegliere nulla e ovviamente ognuno mangia quello che riesce. Da bere, invece, si può scegliere tra rosso e bianco e noi scegliamo un bianco frizzante. Forse non è il vino più indicato ma è uno dei pochi che mi piace.
Ci arriva quindi una bottiglia di Pignoletto della cantina Settecani, insieme a una brocca d'acqua e a un cestino con pane e grissini. I grissini sono di quelli confezionati, il pane, invece, è fresco e a fette. C'è il tipo bianco, senza sale forse per influenza toscana, e il tipo nero, fatto dalla cuoca, saporito. L'acqua è forse di rubinetto, comunque è fresca e buona. Sulla brocca c'è una frase curiosa, che tornerà sui piatti e perfino sulle bustine di zucchero per il caffè, una frase che (cito a memoria ma posso sbagliare) fa più o meno così: “Pace nelle familie (scritto proprio così, senza gl), a me tutto mancha (con l'h!) povero minchione”. Chiedo notizie al riguardo e il simpatico proprietario spiega che è una frase fatta scolpire nella pietra dall'antico proprietario del borgo, un barone, che non andava d'accordo coi suoi figli (ecco il perché del “minchione”) e che era proprietario fino al 1800 di questo posto (da qui, il nome casa Baroni).
Inizia il pranzo. Per cominciare, un tris di primi, portati in tre piccoli vassoi da cui attingere, le porzioni se non abbondantissime sono comunque generose:
- tortelloni bianchi al burro, con ripieno di ricotta e spinaci: pasta abbastanza spessa, ruvida e buona, con un ottimo ripieno
- maccheroni al sugo di verdure, in particolare carciofi: gusto delicato, mi è piaciuto
- tagliatelle ai funghi: abbastanza larghe e spesse, ben condite, tutto sommato discrete ma ci sono piaciuti di più gli altri due primi.
Terminati i primi arrivano i secondi con contorno:
- un vassoietto di carne: scaloppina di vitello ai funghi, arrosto di vitello e arrosto di maiale, buonissimo quest'ultimo, saporito, un po' meno gustosa la scaloppa per me, mentre a Mauro è piaciuta di più del maiale, secondo lui troppo secco
- polenta con funghi e sugo di pomodoro, buonissima anche se invernale come piatto
- un piattino di formaggi, ovvero un pezzetto di parmigiano e uno di caciotta di montagna, con un vasetto di miele di quello però che si compra: complessivamente discreto
- insalata dell'orto, fresca, fagiolini, insolitamente freddi, e cipolline all'aceto balsamico, buonissime.
Per finire i dolci. Per accompagnarli, il proprietario ci offre un bicchiere di malvasia dei colli piacentini, molto dolce e buono. Come dessert, anche qui ci sono tre tipi di dolce:
- torta margherita, molto gialla, e torta al cioccolato e noci: entrambe fatte in casa, semplici ma genuine e buone
- semifreddo di panna guarnito con frutti di bosco: questo è ottimo, nonostante fossi sazia ne avrei mangiato di più tanto era dolce, fresco e squisito!
Come degna conclusione di tanto lauto pasto, due caffè, nella norma, accompagnati da due cioccolatini fondenti.
Che dire: tutto buono, anche se senza note di eccezionalità, con alcuni piatti migliori di altri. Paghiamo 60 euro in totale, come da preavviso: non economicissimo visto il menù fisso e il posto sperduto, ma ci può stare per la quantità di cibo e la qualità di alcuni piatti.
Ci intratteniamo con altre chiacchiere col proprietario che, gesto gentilissimo e molto apprezzato, mi regala una rosa rossa, vellutata, a stelo lungo e profumatissima! Davvero carino.
Direi che come cibo 3 cappelli sarebbero sufficienti ma la bellezza del posto e la simpatia del “nonno di Heidi” sono da 5 cappelli, per cui facendo una media ne assegno tranquillamente 4.
Bene, la recensione del ristorante finisce qui. Chi desidera, può proseguire la lettura riguardo le cascate.
Di nuovo in auto, si ritorna al centro (si fa per dire) di Fellicarolo. Di qui si prosegue dalla parte opposta verso le cascate del Doccione, ci sono comunque i cartelli. Un tratto di strada sempre nel bosco ed eccoci di fronte a una strada ghiaiata. Qui preferiamo parcheggiare e proseguire a piedi, ma si può anche continuare in macchina per un altro po'. La strada comunque non è lunga ed è comoda, anche per chi non è abituato a camminare in montagna come noi Percorsi 500 metri più o meno, leggermente in salita, si arriva a un sentiero fatto anche per disabili: la stradina è di ghiaia fine, quasi orizzontale e con corrimano in legno. Percorsa questa stradina in mezzo al bosco, e superato un ponticello in legno, si arriva alle cascate: che spettacolo! L'acqua non è tantissima, ma sono comunque belle e le si può ammirare da vicino, tanto che si sente la freschezza dell'acqua e si vede la sua limpidezza mentre si infrange sulle rocce e scende rapidamente a valle.
Soddisfatti, non ci resta che tornare verso casa: una breve passeggiata a Fanano e ci reimmergiamo nell'afa della pianura!
Una bella gita, che consiglio… e ringrazio Joy per il suggerimento
Consigliatissimo!!
[joy]
30/07/2009
Certo che il tavolo vicino alla finestra, vale 5 cappelli,per quanto riguarda tutto il resto mi trovi d'accordo al 100/100.
Saluti